La capacità della natura di essere sorprendente non si attenua neppure dopo milioni di anni. La calendula e il mirto (tipico della Sardegna) ne sono la prova, assieme a tante altre piante, tutte capaci di sopravvivere alla presenza spesso invasiva dell’uomo. Per loro c’è un nome generico che ne mette in luce la vera natura senza annullare le differenze. Ma come può un solo concetto esprimere così tanto? Accade con le piante autoctone chiamate così per la loro presenza spontanea in molti habitat naturali. Sono davvero tante le cose da sapere su questo argomento, proveremo a riassumerle nel migliore dei modi.

Cosa sono le piante autoctone
Per autoctona si intente una pianta nata in un certo luogo e cresciuta dimostrando una grande capacità di adattamento. Gli interventi dell’essere umano ma anche le modificazioni climatiche e del sottosuolo, non le hanno impedito di sopravvivere anche in condizioni molto sfavorevoli, come (a titolo di esempio) una eventuale mancanza di acqua. Molte piante autoctone non temono neppure l’inquinamento e le troviamo rigogliose non solo nei boschi e nei prati ma anche sulle strade degli affollati quartieri cittadini.
Si osservano un po’ ovunque anche se il miglior modo per imparare a riconoscerle è quello di avventurarsi alla loro scoperta. Non sarà semplice distinguerle da quelle di importazione anche se è il modo migliore per comprenderne l’importanza. Queste specie sono chiamate anche “indigene” in virtù della loro presenza su un terreno al quale si sono adattate sfruttando il vento o gli animali per potersi diffondere.
Una ricchezza da tutelare
Ogni specie autoctona svolge un’importante funzione nell’ambiente naturale in cui si trova. Alcune piante possono aiutare il terreno ad assorbire sostanze utili come l’azoto, altre creano una tale massa da essere utili ai ruminanti. Tra le piante autoctone, alcune ne sostengono altre nella loro crescita senza dimenticare quelle che aiutano le api a produrre il nettare. Ci sono poi le piante spontanee conosciute per l’utilizzo in falegnameria perché si sviluppano rapidamente e hanno tronchi di un legno piuttosto flessibile.
Tra quelle a crescita rapida molte vengono utilizzate per creare delle siepi. Se per ricoprire una recinzione si opta per una specie spinosa vengono tenuti lontani anche gli animali indesiderati. In virtù delle loro radici forti e robuste, molte piante autoctone hanno proprietà decompattanti e vengono convertite in compost.
Alcuni esempi e qualche curiosità

Tra le piante autoctone più conosciute, come la primula e il trifoglio, ce ne sono alcune con la capacità di produrre enormi quantità di fiori. Sono proprio così la salina, che si nota vicino al mare, e la rosa canina. Sia la prima che la seconda vengono ampiamente utilizzate in erboristeria.
Tra le cespugliose c’è l’artemisia, una pianta aromatica con note proprietà decongestionanti. L’erica multiflora rientra tra gli arbusti sempreverdi dalla caratteristica forma “a cespuglio” d’aspetto rigoglioso. I suoi fiori sono rosa o lilla e spuntano sulla pianta da agosto a dicembre. Tra le autoctone di tipo arbustivo ci sono il frassino e l’alloro così come la quercia e il salice piangente. Quest’ultimo privilegia le zone a clima umido e si distingue facilmente per il portamento cascante della sua fresca chioma.
Sono autoctone anche alcune varietà di clematidi come la vitalba dal tipico fiorellino bianco. L’edera è a pieno titolo una pianta spontanea molto invasiva e dalla crescita incredibilmente rapida. Da qualche tempo le piante autoctone sono diventate oggetto di interesse di importanti associazioni come il WWF. Si lavora attivamente per la loro tutela e in molti stanno incoraggiando i coltivatori a utilizzarle maggiormente nei loro orti e giardini una volta conosciute meglio.